Il libro racconta la storia straordinariamente intensa di Enzo Piccinini, il suo percorso di costante crescita personale e professionale, ma anche l’impatto che ebbe in chi lo incontrava. L’autore Marco Bardazzi, in un articolo ospitato dal blog di Mario Calabresi, la descrive come «la vicenda umana e professionale di un chirurgo insolito, che si è rivelata per me, e spero anche per chi avrà voglia di leggerla, come una proposta di risposta a grandi interrogativi, resi più urgenti dal momento storico che viviamo. Che senso hanno la malattia e la morte? Che significa curare? Quali sono il ruolo e il compito di medici e ospedali? E in senso più ampio, uscendo dall’ambito strettamente sanitario: cosa vuol dire lavorare “mettendo il cuore in quello che si fa”?».
Infatti, fin dagli anni in cui si avviava alla professione, Enzo credeva fermamente che facesse parte del mandato del medico occuparsi dei pazienti in tutta la loro umanità: preoccupandosi dei loro affetti e aiutandoli di fronte al dolore e al timore della morte.
Dopo un periodo di allontanamento dalla fede, Enzo ha riconosciuto nella sua vita tanti segni della presenza di Dio, in particolare quelli che hanno determinato le tre svolte decisive della sua vita: l’incontro con don Giussani e il movimento di Cl, la scelta universitaria e professionale e la decisione di sposarsi e avere una famiglia.
L’intelligenza e il cuore hanno da allora segnato tutta la sua vita: dalle sale operatorie dell’ospedale sant’Orsola a Bologna, alla famiglia costruita con la moglie Fiorisa, fino alla responsabilità delle tante comu- nità del movimento di Cl a lui affidate. La ricerca dell’unità e una febbre di vita incontenibili hanno coinvolto tanti che hanno avuto la fortuna di incontrarlo. La lettura del libro riempie ancora di riconoscenza e stupore di fronte alla testimonianza di questa vita che è diventata “strumento di un miracolo”, come gli disse don Giussani al termine di un complicatissimo intervento chirurgico che era riuscito a portare a termine con successo: “Grazie per essere stato strumento di un miracolo”.
“Il miracolo è la realtà umana vissuta quotidianamente, senza enfasi eccezionali, senza necessità di eccezioni, senza fortune particolari, è la realtà del mangiare, del bere, del vegliare e del dormire investita dalla coscienza di una Presenza che ha i suoi terminali in mani che si toccano, in facce che si vedono, in un perdono da dare, in soldi da distribuire, in una fatica da compiere, in un lavoro da accettare”.(Luigi Giussani – Un evento reale nella vita dell’uomo – 1990-1991)
Da questa umanità vissuta senza sconti è nato quello che Bardazzi chiama il “metodo Enzo”, che comprende preparazione tecnica, analisi scrupolosa dei dati reali, attenzione totale al paziente, che deve essere accompagnato davanti al mistero della vita e della morte, e non essere soli, perché da soli non ce la si fa.
«Enzo voleva stare di fronte al malato, al dolore, alla morte, mettendoci tutto quello che lui stesso riassumeva con la parola “cuore”: l’esigenza di vero, di bello, di giusto, di amare ed essere riamati»
Per vivere un’unità della persona tra lavoro, famiglia, amicizie e svago e per mettere sempre il cuore in quello che faceva, aveva bisogno di sentirsi amato. Significativo in questo senso fu il suo rapporto con Giussani che fece maturare in lui un’obbedienza sincera che lo rese capace non solo di accettare i propri limiti, ma di giungere alla consapevolezza che andiamo bene tout court, così come siamo. “Se Dio ti ha fatto così, tu servi con quello che sei!”.
La sua vita ha portato la Chiesa a proclamarlo “servo di Dio” e ad avviare un processo di canonizzazione. “Ho fatto tutto per essere felice” è un racconto emozionante che insegna cosa significa vivere, come diceva Enzo: “mettendo il cuore in quello che si fa”.
(Libro segnalato e commentato da Paola Velardita e Maria Pia Nicolli socie del Centro Culturale Rebora)